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- Correva il giorno sei di luglio del millenovecentottotto. In
una Roma bollente e già svuotata dal primo esodo estivo, uno spensierato diciottenne
accolse l'invito di un gruppazzo di amici più grandi di lui, ad andare a un concerto alla
festa del Partito Comunista Italiano, più comunemente detta festa dell'Unità. Si fa
ancora tutti gli anni, la festa dell'Unità, ma al giorno d'oggi è organizzata da un
altro partito. Fa niente. Quell'anno si teneva nei giardini sotto i bastioni di Castel
Sant'Angelo. Tredicimila lire per un biglietto comprato in prevendita, per non rischiare
di rimanere fuori, ché i posti non erano poi tanti.
Ora è meglio che voialtri vi mettiate comodi, mentre io raccolgo le idee e, seguendo i
ricordi di quella serata di undici anni fa, vado a narrarvi quelle due ore, parola per
parola, accordo per accordo, sorso di vino per sorso di vino, come si conviene alle
esibizioni del Guccio, ché tralasciare qualcosa sarebbe un peccato, nevvero? Bene.
Signore e signori, Francesco Guccini in concerto. Il mio primo concerto.
Era il tour in cui venne registrato "Quasi come Dumas". Forse una delle scalette
più belle, nei quasi venti concerti del Guccio che ho collezionato da allora: tutti i
pezzi che trovate in quell'album dal vivo, più i pezzi forti di quello che allora era
l'ultimo album uscito e che ancora oggi rimane secondo me il migliore mai partorito dal
Guccio: si parla di Signora Bovary, ovviamente. Più i pezzi storici che canta sempre e
comunque, va da sé.
Prima di iniziare a cantare, solite storie per far sedere quelli rimasti in piedi.
"Ragazzi, non è possibile, ve lo dico tutte le volte. Una volta al Gianicolo ci ho
messo mezz'ora, e gli dicevo: mettetevi a sedere, e vedrete che la chiappa, essendo di sé
elastica... andando avanti di millimetro in millimetro... la chiappa se Dio vuole respira!
La chiappa è la seconda cosa che respira nel corpo umano dopo i polmoni! Come del resto
ben sappiamo noi fumatori, che una volta esauriti i serbatoi del torace, iniziamo a
respirare dalla chiappa..."
Tira su un sorso di vino, e subito parte un "eeeehhhh" dalla folla. Lui si gira
tutto risentito e rimbrotta quelli delle prime file "non capisco cosa ci sia da far
tutto sto' casino ogni volta che uno beve un sorso
Voglio dire, pensate se ci fosse
mia figlia... Penserebbe: ma questo è più conosciuto come cantante o come uno che
beve?... (ndr Teresa aveva allora 9 anni, o giù di lì). E poi è solo quel sorso che
basta per rallegrare l'ugola, rattristita dalle notazze che emette
." Dopo
l'immancabile "Canzone per un'amica" inizia a spiegare "ora vi dirò quello
che vi aspetta questa sera
siete un po' come a una mensa aziendale, ove il menù è
quello e altro non ve n'ha
a proposito, oggi ero a mangiare in treno e al cameriere
ho chiesto il sale
. mi ha risposto 'non c'è arrivato'
e io ho immaginato
delle carovaniere che viaggiano lungo le ferrovie italiane
'comandante, il forte è
lontano, il sale arriva una volta ogni sei mesi'..." Si percepisce un rumoreggiamento
proveniente dalla gente rimasta fuori senza biglietto, e lui si interrompe preoccupato
"pare che accadano sommovimenti all'esterno
. probabilmente hanno sbagliato
concerto
" Mentre riprende il discorso il rumore aumenta, e lui "questo mi
riporta indietro ai begli anni, grazie
Quando non potevi fare un concerto senza che
accadessero casini inumani..."
Prova a coprire il rumore di fondo riattaccando a cantare: Signora Bovary e Due anni dopo,
in cui per la prima volta il ritornello viene aggiornato a "Vent'anni dopo al punto
di partenza...", e si inizia a capire il tema della serata. Che lui spiega a ruota:
"capite, quest'anno ricorreva. Già, ricorreva. Di tutto: ventennali, ventenni,
ventennii
e allora abbiamo ripreso le canzoni di quei tempi là, e abbiam deciso di
rifarle. Voi direte: ma a suo tempo cantavi 'due anni dopo'
da che cosa? Beh, due
anni dopo da canzoni di questo tipo
" E parte Auschwitz, splendida ed
emozionante allora come oggi. Poi si continua a parlare di cibo, e lui passando in
rassegna i vari tipi di locali confessa "guardate, io non sono mai entrato in un
Burghy... no, nulla di particolare, c'è proprio qualcosa di fisico che me lo impedisce...
avevo appena introdotto il piede sinistro, e già le scritte misteriose mi uccidevano. I
colori delle bevande eviravano dal verdolino strano al viola radioattivo
"
Scatta l'urlo dalla platea "viva le lasagne!", e lui sbotta "vabbé, ora
non esageriamo
addirittura la cucina di mamma!" Risposta dal pubblico: "di
mamme ce n'è una sola", che lui completa "si, ma quella canzone dice anche che
i ricchi di mamme ne hanno più di una. Nascono con una mamma, poi a vent'anni la mamma
non gli piace e ne prendono subito un'altra
ovviamente d'accordo con i sindacati, è
una assunzione in piena regola... siamo noi che di mamma ne abbiamo una sola."
Qualcuno lo provoca: "ma tu sei ricco!", e lui pronto: "ah, ma infatti io
ne ho due di mamme... una è la mia, quella vera, e l'altra è Flaco Biondini..."
Dal pubblico in un momento di silenzio si alza una richiesta: "la Genesi, dopo!"
E lui, sarcastico "ah, sì.... me lo posso appuntare sul polsino???" E poi,
rivolto a uno scatenato fan sotto al palco "e dai, smettila, lo sai che la faccio,
dopo! La locomotiva, lo sanno tutti che alla fine la faccio, è inutile che tu stia qui
tutto il concerto a delirare 'la locomotiva, la locomotiva'....." Un altro gli grida
"sei simpatico" e lui replica "sì, ma anche Mike Buongiorno alle volte è
simpatico... bisogna stare attenti, ad esser simpatico. Un
altro grido dal pubblico "Ciccio ti amo! E lui "comeeee? eeehhh? ma che vuol
dire... aaaahhhh Ciccio-ti-amo!!! Io avevo capito 'cicciottiamo', tutto attaccato
nel senso che ci fosse un verbo... il 'cicciottare'... mi sfuggiva questa variante
dell'erotismo..." (Abbiamo evidenziato questa
parte,perchè proprio uno dei futuri Cazzari lanciò quell'urlo!!! n.d.c.) E a
proposito di erotismo, inizia tutta una classificazione delle varie sfumature del genere,
per arrivare a parlare di quello che "con elegante espressione viene definito l'eros
solitario". Non poteva mancare l'oxfordiano del pubblico che subito traduce "le
pippe!!!", prontamente ripreso dal Guccio che lo sgrida con tono da professore
arrabbiato: "vergognati... il termine 'pippe' è volgare due volte: primo perché è
volgare, e secondo perché ricorda Pippo Baudo". Boato di approvazione dalla
platea... ma lui guarda in alto, dove c'è gente che si gode il concerto arrampicata sui
bastioni del castello, e fa "ehi, c'è uno di Catania, lassù, che si è
offeso..."
"Ora vorrei parlare di quei posti che si incontrano lungo le autostrade
"
Scatta immediato l'applauso, ma lui lo smorza subito ammonendo "sì, voi applaudite
perché pensate alla canzone, ma non vi è mai capitato, come è successo a me, di
rimanere intrappolati per sei giorni in un autogrill, dietro a una montagna di confezioni
economiche di fazzolettini... di quelli che insieme al sudore ti detergono via anche mezza
faccia.... per non parlare di entrare nei cessi degli autogrill... è una operazione
pericolosissima... e avete notato che davanti c'è sempre uno grosso come un animale con
la faccia cattivissima... ma a cosa serve?" Pronta la risposta dal pubblico
"glie devi dà du' piotte!" che lui coglie al volo "Aaaahhh, grande
l'intelligenza di quel ragazzo! Ecco qual è la funzione ufficiale.... 'glie devi dà du'
piotte'!" Poi continua a raffica: "Ragazzi, avete notato che i rubinetti nei
cessi degli autogrill diventano sempre più demenziali? Cioè, una volta c'era la
manopola, tu giravi, e veniva giù l'acqua... adesso no... er bottone... er pedale... tu
sei lì, e prima di capire cosa devi fare... L'ultimo tipo che ho visto dovevi far così
(e mima uno che prende a gomitate il muro)... e più davi di gomito, più l'acqua veniva
giù calda... dico... una fatica inumana! Poi ne ho visto uno che hai davanti una
pedaliera come un'auto da corsa... e al posto del rubinetto c'è un volante... e tu per
far venire giù l'acqua devi reggere il volante, e così col cazzo che te le lavi, le
mani!" Dopo la canzone continua, incontenibile: "ragazzi, ci terrei a precisare
che l'autogrill della canzone non esiste. L'ho inventato io, giuro. No, lo dico perché so
di gente che si è fatta tutta l'Italia avanti e indietro con la macchina, a cercare
questo posto misterioso con la biondina che biondina non sembrava, le tendine rosa, ecc.
ecc.. l'ho inventato io. E la dimostrazione è che vi sfido ad entrare in un autogrill e
chiedere un bicchiere di "birra chiara e seven up"... rischiate di beccarvi un
cazzotto in un occhio... perché di solito nei bar degli autogrill sono nervosissimi... ma
proprio di brutto, sono incazzati come delle pantere... tu entri e loro secchi 'lei cosa
vuole?'... e tu guardando distrattamente la vetrina del bancone 'maaah... io veramente
vorreiiii....' 'COSA VUOLE LEEEEI????' E a quel punto chiedi la prima cosa che ti passa
per la testa... No, io una volta l'ho fatto, di chiedere birra e gazzosa... Ma mica per
imitare la canzone, ma perché quando uno magari la sera prima ha bevuto quel tantino in
più
il giorno dopo non ha voglia di ricominciare a bere
e allora prende mezzo
boccale di gazzosa, o sprite, e mezzo di birra. I casini vengono alla cassa: "lei
cosa ha preso, una birra?"
"No, guardi, non è birra - per correttezza,
non lo sai...- ma mezzo di birra e mezzo di sprite". "COME SI PERMETTE?"
"No, come sarebbe come mi permetto
eran lì tutte e due.." "Sì, ma
io cosa devo farle pagare?" Insomma, la volta dopo non lo fai più..."
Ora, pazienti lettori, tutto questo monologo sull'autogrill immaginatelo con il Guccio che
va da una parte all'altra del palco mimando prima di entrare nei cessi tenendosi raso al
muro, poi alle prese con i vari tipi di rubinetto, infine a colloquio con il barista
isterico e con la cassiera rompiballe... di pezzi divertenti ne ha fatti tanti, ma quel
quarto d'ora di cabaret per me rimane nella storia. Il bello è che dopo tutto questo
sproloquio continuò: "non vi dispiace, vero, se parlo ancora un pochino... è che
altrimenti uno fa la fine di quelli che cantano soltanto e poi non sono più capaci di
mettere due parole in fila
voi direte 'ma tra una canzone e l'altra ci propini
sempre un sacco di puttanate'... è vero! Ma sono puttanate che servono
come
dire
ad ammorbidire. E poi le dicono in tanti, potrò dirne qualcuna anch'io? Ognuno
dovrebbe rivendicare il diritto alle proprie puttanate. Dovrebbe essere un diritto in
piena regola, sancito dalla Costituzione... ma non per tutti. Nossignore, non per tutti.
Quelli che già le dicono abitualmente no, non se lo meritano". E continua: "ma
rimanendo a parlare di posti dove si beve
la prossima canzone parla di quei posti
mitici che sono le osterie
mitici perché in realtà le osterie non esistono, non
sono mai esistite... le abbiamo create noi, nella nostra fantasia... il fatto è che
all'epoca i locali che i ricchi usavano frequentare si chiamavano "whisky à
go-go". Improponibili per chi come noi era di modesta estrazione sociale... non
potevamo permetterci neanche di avvicinarci, ai whisky à go-go.. E fu allora che
sperimentammo il vecchio trucco della sinistra: cioè che le cose che non si possono avere
sono tutte stronzate
e inventammo le osterie!"
Riprende a suonare, e la canzone in questione ovviamente è "Per quando è
tardi". Seguita dalla spiegazione: "nella versione originale ci fu una specie di
censura... il mio testo diceva 'cantando mentre pisciano lontano'
questo sconvolse
in modo agghiacciante e fibra per fibra i censori dell'epoca... e allora i Nomadi, che per
primi cantarono questo pezzo, provarono la versione "cantando mentre guardano
lontano"... e io pensai
ma questi personaggi della canzone non sono solo
ubriachi, sono anche coglioni
e poi così me la abbassi di tono, invece deve essere
un passaggio accentato... cantando mentre pìsciano, capite
però a quei tempi
non si poteva... e allora qualcuno coniò la versione che mi trovai a incidere:
"cantando mentre sputano lontano'. Benissimo, ora voi ci provate... e poi mi dite
come si fa! Perché è una operazione difficilissima!"
Incredibile ma vero, a quei tempi "Dio è morto" era in scaletta a metà
concerto, ma tutti rimanevano buoni a sedere, a godersela e a cantarla a squarciagola
senza dover scattare in piedi a tutti i costi. E' il momento di presentare i musicisti
dell'ormai storica band: "lasciate che vi presenti questi signori che si trascinano
per il palco emettendo futili suoni." E poi a ruota: "Ora vi farò ascoltare una
canzone scritta molti anni fa che non ho mai inciso né cantato in concerto... finora l'ho
cantata solo ogni tanto tra amici. Vai, Flaco". Parte l'assolo di chitarra, e a ruota
Francesco inizia dolcissimo "ti ricordi quei giorni..." Scatta automatico
l'applauso che saluta l'inizio di tutte le canzoni. Lui interrompe tutto e sbotta, tra
l'ironico e il severo: "No, scusatemi. Non la conoscete! No, voglio dire, vi
ringrazio molto, sono davvero orgoglioso di ciò, ma prima di applaudire
ascoltatela..." Poi non ce la fa a rimanere serio, e scoppia a ridere "no, è
che mi son chiesto: boh. si vede che una sera totalmente ubriaco a Roma l'ho già fatta...
no, davvero, succede
uno è talmente sbronzo che non si ricorda più.... dai Flaco,
di nuovo". "Da capo?", si azzarda a chiedere il perplesso chitarrista. E
Francesco spietato: "OVVIAMENTE da capo, Flaco... da dove vuoi cominciare, dal
mezzo?"
A seguire, il rullare della batteria di Ellade Bandini introduce l'allora nuovissimo
arrangiamento della sempre emozionante Primavera di Praga, con l'intera platea in silenzio
a pensare che proprio in quella estate del 1988 ricorrevano i vent'anni dall'invasione
sovietica. E a ruota ecco Scirocco, fresca di Premio della Critica ricevuto qualche mese
prima, come orgogliosamente sottolinea Francesco. Mentre parte l'assolo di basso che
introduce la canzone, qualcuno dal pubblico riconosce la canzone e urla: "è
Scirocco". Francesco anche stavolta ferma i suoi musicisti, e si rivolge alla platea
in modo molto più severo di prima: "no, fermi un attimo, scusa Ares... lo ripeto
ragazzi: la televisione ci uccide. A forza di vedere certe scemenze di quiz, ci troviamo
continuamente con l'irrefrenabile stimolo di indovinare. E' tutto così... 'a che ora
parte il prossimo treno per Roma?' 'Alle 14 e 25 sul terzo binario, cosa ho vinto?' Ma
come cosa hai vinto... Le canzoni non si indovinano, ragazzi. Si cantano. Vai Ares."
Poi racconta di uno strano personaggio che come tutti i solenni bevitori aveva una certa
moralità, per cui entrando in osteria non ordinava una damigiana ma un quartino, e alla
fine della giornata a forza di quartini si era bevuto una damigiana intera
e tra un
bicchiere e l'altro aveva incredibili sprazzi che lo portavano ad alzarsi e a trovare
energie misteriose, quasi al di là del tempo. E' l'ubriaco, ovviamente, e la carica con
cui Francesco canta questa canzone è tutta riassunta in quel "grazieeeeeee"
sulle note finali che fa sobbalzare chiunque ascolti "Quasi come Dumas" per la
prima volta. Si continua a parlare di osterie, e ovviamente di osti. Rimpiangendo i bei
tempi in cui il vino doveva sapere di vino, mentre "al giorno d'oggi trovi gente che
è orgogliosa di farti sentire quanto il loro vino 'sappia di frutti di bosco'... che io
mi ricordo i miei nonni
si incazzavano come delle pantere quando il vino sapeva di
frutti di bosco... annusavano una bottiglia appena aperta e con tono schifato ti facevano
'bleah, buttala via, che sto' vino sa di frutti di bosco...' per non parlare di quelli che
oggi ti vogliono vendere un vino che sa di crosta di pane
Ci prendeva tutti a
bottigliate, mio nonno... 've l'avevo detto! ve l'avevo detto! questo vino è venuto uno
schifo, sa di crosta di pane. Se l'aveste messo su come dicevo io..."
Sempre a proposito di osterie, racconta che quella dell'ubriaco della canzone si chiamava
"Osteria dei poeti", ma "non perché ci fossero dei poeti, ma perché c'era
una strada che si chiamava 'Via dei poeti', dal nome di una famiglia che ci chiamava
famiglia Dei Poeti... e l'unico poeta di cui lì ci fosse traccia era Giosuè Carducci, il
cui busto era stato messo in bella vista nell'osteria... no, non da lui stesso
probabilmente, era un ragazzo modesto... e sotto al busto campeggiava una targa con la sua
celeberrima frase 'quando morirò seppellitemi in una vigna, affinché io possa ridare
alla terra quello che le ho sottratto durante la mia vita"... che mi sembra un
concetto ecologico molto importante.
"Lungo le strade e per il vento di Roma"... in una serata capitolina non poteva
mancare Keaton, seguita dalla Canzone dei 12 mesi, eseguita in una trascinante e
velocissima versione. Peccato non l'abbia ancora inserita in nessun album live (a
ripensare a tutti i concerti sentiti e a tutti i pezzi cantati con nuovi arrangiamenti ma
mai incisi dal vivo, la rabbia per quel doppio-fregatura della EMI cresce di giorno in
giorno.) Quanto mai adatta a quei caldi giorni di luglio, "Giorno d'estate"
precede la splendida "L'albero ed io". Tutte canzoni che oggi conosciamo con gli
arrangiamenti familiari contenuti in "Quasi come Dumas", ma all'epoca erano
autentici pezzi rari, presi da un album del 1970, tirati fuori e riarrangiati
completamente per l'occasione. Come se oggi facesse lo stesso con "La ballata degli
annegati" o "L'uomo", per dirne un paio.
Non vi ho detto finora, ma molti di voi se lo ricordano di sicuro, che il Guccio all'epoca
si presentava sul palco con il più classico dei fiaschi di vino, al giorno d'oggi
sostituito da una più signorile bottiglia. E durante il concerto beveva come se fosse in
osteria, non un sorso ogni tanto come oggi. Direttamente dal fiasco, senza bicchieri di
sorta, ovviamente. E gli effetti del vino, più o meno da metà concerto in poi, si
vedevano... eccome se si vedevano... in quel caso iniziarono a farsi sentire quando, al
momento di eseguire "Il vecchio e il bambino", apostrofò il povero Flaco che si
attardava nell'accordare al meglio il suo strumento. "Perdonatelo", fece
Francesco rivolto al pubblico... e poi, tra gli sguardi atterriti dei musicisti,
improvvisò una spiegazione "no, non è colpa tua, Flaco. E' che la tua chitarra
prima, l'ho vista io, è andata lì dietro a scopare con il basso di Ares Tavolazzi... per
cui adesso è ancora un po' sconvolta... io non me la prenderei tanto con la chitarra,
quanto con il basso di Tavolazzi... gli farei una scenata, dopo. E se nasce un
mandolino?"
L'esecuzione de "Il vecchio e il bambino" è sempre uno spettacolo, se fissate
lo sguardo su Ellade Bandini, che durante le varie strofe riesce ad utilizzare un
imprecisato numero di strumenti e ad emettere i suoni più strani e particolari. Poi
Francesco torna a richiamare l'attenzione del pubblico, stavolta indicando il proprio
polso destro: "vedete che porto questo monile... un braccialetto fatto di perline...
mi tocca portarlo, perché mi è stato regalato dalla sua fabbricatrice che mi ha detto
'ti piace, babbo?'... e allora mi tocca portare questa puttanatina a perline gialle e
rosse." L'immediato boato della platea ricorda a Francesco che ha nominato due colori
particolari, qui a Roma. "nonononoooo per l'amor di Dio, il colore è casuale,
giuro... non sono così ruffiano... cioè, sono ruffiano ma non fino a questo
punto..." E a quel punto non si lascia scappare l'occasione di schernire il pubblico:
"ma così, per sapere... chi avete comprato? chiiii? L'ultima volta che ho cantato
sotto questo castello erano i tempi di Falcao, ma ora... non mi sembrate molto contenti...
lo so, ci vuole pazienza." Qualcuno prova a rilanciare lo scherzo, ironizzando sulla
sua nota simpatia per una squadra che al tempo militava nei campionati dilettanti: "e
la Pistoiese, chi ha comprato?" Ma il Guccio, facendosi improvvisamente serio,
zittisce la platea declamando solennemente: "la Pistoiese, signore, è una
fede". Poi riprende: "dunque, vi dicevo che io ho in casa questa fabbricatrice
immonda di braccialetti, a cui ho anche dedicato una canzone..." E la sempre
meravigliosa Culodritto precede Venezia e Asia, appaiate in scaletta come nel concerto di
"Fra la via Emilia e il West" e applauditissime per le emozioni e le suggestioni
che evocano. "Anche questa volta siamo arrivati alla fine. Vi saluto con la solita
canzone". Tutti in piedi, tanti pugni alzati. Oggi forse gli organizzatori della
festa del'Unità storcerebbero la bocca, ma all'epoca era la festa del PCI e aveva un
senso particolare cantare lì quella canzone. Il bis dopo la Locomotiva fu quella
scatenata versione di "Al Trist" che chiude anche "Quasi come Dumas".
"Capite qualcosa di quello che dico?" chiede dopo la prima strofa. Coro di
nooooooo dal pubblico... "ascoltate alla radio musica americana dalla mattina alla
sera, e la capite, e se io parlo in modenese noooo?" Dopo il trascinante blues
Francesco è tutto per il pubblico, a ringraziare e a dare appuntamento alla prossima
occasione (che lo riporterà nella capitale solo due anni e mezzo più tardi, dopo aver
inciso "Quello che non"). "Grazie Roma. Ciao".
Chi è arrivato a leggere fin qui se ne sarà accorto: a quei tempi il Guccio in concerto
chiacchierava e sproloquiava molto più di ora, probabilmente perché improvvisava
tantissimo, mentre ora lui stesso racconta che va sul palco con degli spunti già pronti
per le famose "puttanate" con cui intervalla le canzoni... non che siano meno
brillanti, ma quelle si è preparato e quasi sempre a quelle si limita... mentre all'epoca
ogni spunto dal pubblico diventava motivo di esilaranti pezzi di autentico cabaret. Io vi
ho raccontato solo quelli che mi ricordo, aiutato dal fatto di aver risentito diverse
volte, negli anni scorsi, la registrazione di quel concerto fatta da amici con mezzi di
fortuna. Da quel giorno di undici anni fa, oltre alle raccolte dal vivo, ha pubblicato tre
album: Quello che non, Parnassius, D'amore di morte.... su ognuno dei quali ci sono
diverse canzoni che meritano di stare alla pari con i pezzi storici del suo repertorio.
Alla faccia di chi già nel 1974 scriveva che "Guccini non ha più nulla da
dire", tanto da meritarsi il verso più feroce dell'avvelenata. E il resto è storia
di questi giorni.
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- (Abbiamo voluto lasciare questo racconto così come venne
scritto nel '99,ovviamente oggi abbiamo altri albm pubblicati.... n.d.c.)
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